A mio parere il dibattito sull’arte moderna non ha ancora, come quasi qualsiasi altro dibattito, raggiunto e nemmeno individuato il punto focale della discussione. Si è soltanto tentato invano di stabilire dei limiti arbitrari per cercare di giustificare l’assegnazione di caratteristiche “artistiche” ad alcune opere ed ad altre no secondo fragili ed estremamente limitati criteri personali. Ma chi siamo noi per giudicare se il lavoro espressivo di un altra persona è o non è arte? Come pretendiamo di avere i mezzi per non solo comprendere e interpretare il risultato ma addirittura di risalire al motivo originario che ha spinto l’artista a realizzarla? Ovviamente l’interesse che un’opera suscita in noi varia moltissimo da fruitore a fruitore: alcune di esse, infatti, vertono su uno splendore immediato che coinvolge dal primo momento i nostri sensi, mentre altre, invece, acquistano valore solo nel momento in cui siamo in grado di comprendere il messaggio che sta cercando di comunicarci l’autore; alcune sono realizzate con meticolosa attenzione e grande dispendio di tempo, mentre altre sono compiute di getto e senza indugio; alcune sono di complicatissima esecuzione mentre altre sono invece quasi provocatoriamente semplici. Nessuna di queste o altre combinazioni di caratteristiche rendono un opera più “artistica” di un’altra, e questo non può essere valutato da nessuno. Se lo riterremo necessario potremo indagare a fondo su un’opera ed interpretarla a modo nostro, e alcune volte saremo in grado di cogliere più aspetti specifici di essa se dotati di esperienza e cultura alle nostre spalle, ma attenzione: nessuno sarà migliore di chiunque altro nell’apprezzarla e a formare proprie opinioni su di essa, non importa con quanta esperienza o notorietà. Il famoso esempio di Dalì che, nell’analizzare un’opera mise in risalto “l’innegabile significato erotico della vanga conficcata nel terreno e della carriola”, oggetti invece con tutta probabilità innocui, non è meno rilevante di un commento di qualsiasi altro critico e non dovrebbe essere di meno valore nello sfatare il giudizio di qualunque altro di questi ultimi. Essi – o meglio, il fatto che la gente segua le loro opinioni più delle loro stesse o di quelle di chiunque altro e anzi si faccia guidare da esse – sono, infatti, l’unico vero “problema” dell’arte: i critici infatti guidano a loro piacimento le mode e decidono sul destino degli artisti favorendo o meno le loro opere e facendo sì che che una parte del loro pubblico – quella considerata meno “colta” e meno dotata di “strumenti accademici di giudizio” si senta presa in giro quando viene presentata con opere che vengono giudicate dallo speculatore di turno come degne di essere considerate arte oppure no, mentre il singolo forse attribuirebbe ad esse, se dovesse scegliere, tutt’altro significato e, volendo, rilevanza artistica – cosa che comunque ritengo assurda. E tutto ciò perché la gente preferisce seguire in modo alquanto passivo ed acritico quello che viene da loro detto senza perlomeno mettere in discussione i loro giudizi e senza andare oltre e cercare, ad esempio, gli artisti meno noti – spesso perché bocciati dalla critica – per scoprire davvero il mondo dell’arte nella sua incontaminata completezza. Se a questo aggiungiamo una dilagante chiusura di orizzonti, che non permette al vasto pubblico – spesso anche a quello più aperto e curioso, a causa del filtro della critica – di apprezzare opere nuove ed originali (si pensi agli esordi di Manet o di mille altri) ci avviciniamo alla comprensione di questa realtà dove la fruizione dell’arte è spesso difficile o perlomeno resa complessa da fattori ad essa estranei e che ne impediscono la trasmissione originariamente voluta dall’artista. È questo quindi, a mio parere, il nodo centrale della discussione, che regola tutta una serie di questioni che altrimenti sembrerebbero assolutamente irrisolte.